Segnalazioni

Croce Rossa, diario di un soccorritore che ogni giorno indossa la divisa

Foto di repertorio

In questa emergenza che sta colpendo drasticamente il nostro paese, e non solo, a fianco del personale sanitario che svolge un lavoro quotidiano, ci sono centinaia di soccorritori che approcciano per primi con questo maledetto virus, accompagnando i pazienti dalle loro abitazioni all’ospedale, consapevoli che quella è forse una delle ultime volte che vedranno i loro cari. Sono emozioni fortissime quelle che provano ogni giorno i ragazzi della Croce Rossa: dietro queste “tutone” bianche si nascondono uomini e donne che non dimenticheranno mai questa esperienza. Le emozioni, i  timori ed i pensieri che giornalmente navigano nelle loro menti sono tutti in questi pensieri perché ogni macigno è meno pesante se condiviso. 

“Fino alla prima metà di febbraio gli interventi erano gli stessi di sempre: la signora caduta perché scivolata, il paziente con pressione alta e altre casistiche quotidiane. Ora non è più così, dal 20 febbraio in poi l’inizio della guerra. Tutte le chiamate della centrale operativa hanno il seguente oggetto: “è un sospetto Covid, ha febbre e tosse, si veste uno e sale da solo”. In quel momento, la sensazione che hai è che tutti i protocolli che ti hanno insegnato negli anni di ambulanza non ti serviranno a nulla. Allora inizi a vestirti partendo dai guanti poi spacchetti la tuta e la infili dai piedi, a seguire altro paio di guanti, calzari, cuffia, mascherina e infine gli occhiali per ultimi, altrimenti con l’alito si appanna la vista e non vedi più nulla. Un cenno al collega e si parte, durante il tragitto rifletti su ciò che devi e non devi fare. Arrivati a casa del paziente, ultimo giro di nastro al collo per assicurarsi che niente possa passare tra la tuta e il tuo corpo. Si sale, zaino e ossigeno in spalle, al collega farai sapere se hai bisogno del suo aiuto. Mentre fai le scale pensi a chi avrai difronte a te e cosa potrà pensare quando ti vedranno bardato in questo modo. Porta aperta entri, saluti ti avvicini al paziente controllando che abbia mascherina e guanti “Ha avuto febbre o tosse?" chiedi. Perché ormai è ciò che ci interessa realmente. Nell’attesa di risposta attacchi la sonda del saturimetro all’indice del paziente e trattieni il fiato. Leggi a bassa voce la percentuale di ossigeno nel sangue e ti prepari a dargli l’ossigeno. Ti guardi attorno cercando il collega ma poi ti ricordi che sei solo e che devi fare tutto nel minor tempo possibile e ospedalizzare. Ricordi al paziente di portare con sé un documento, cellulare e un numero di telefono di un familiare. Nel frattempo telefoni alla centrale che ti darà riferimenti sulla destinazione e codice di rientro. Mentre sei in ascensore non puoi sfuggire allo sguardo del paziente che ti parla con gli occhi e allora sorridi anche per cercare di rincuorarlo, ma poi pensi che quella potrebbe essere la sua ultima volta che lo fa. Fai salire in ambulanza e lo avvolgi nella coperta isotermica e ti raccomandi di non toccare nulla per nessun motivo. Arrivati in ospedale ricomincia l’agonia, di nuovo temperatura corporea e prima diagnosi “Fallo entrare nella zona sospetti Covid”. Qualche minuto dopo inizia la seconda parte del servizio: devi sanificare il mezzo e l’attrezzatura dei parametri. Così durante la fase di pulizia nella tua mente tornano a galla i soliti pensieri e ti domandi se tutto è filato bene o se pensi di esserti infettato. Noi soccorritori di cose ne vediamo tante ma questa è una guerra cruda e meschina che viviamo in prima fila insieme a medici, infermieri ed Oss. Siamo assistiti da un centrale operativa che si sta dimostrando eccezionale. Se 2 mesi fa mi avessero predetto una simile emergenza non ci avrei mai creduto. Le nostre vite sono drasticamente cambiate dall’oggi al domani. Abbiamo ricevuto strumenti adeguati dalla nostra Direzione Centrale, Regionale e Locale. L’emergenza COVID-19 è un’emergenza collettiva. Abbiamo agito come collettività e non come singoli. In questa situazione di criticità che stiamo vivendo da settimane e di cui non si intravede la fine l’emozione prevalente è la paura. Dal punto di vista emotivo siamo tutti fortemente coinvolti. Sebbene il volontario CRI è un volontario formato per affrontare le emergenze ordinarie e straordinarie, la condivisione con la propria famiglia in questo momento critico ha giocato un ruolo fondamentale. Siamo persone ancora prima che volontari quindi la nostra vita ed i nostri affetti più cari sono quello che ci permette di stare dentro alla situazione. Ammetto di essere fortunata e di avere a casa delle persone care che mi hanno compresa e sostenuta. Ed io ho dovuto porre un’attenzione massima verso loro prima di entrare in contatto ogni giorno dopo il lavoro. Non dimenticherò mai una cosa: la paura e l’angoscia delle persone che abbiamo trasportato e che abbiamo lasciato sole in stanzette imbevute dal cloro. Come non dimenticherò mai la nostra umanità nell’assistere, anche con un solo semplice gesto, le persone trasportate nonostante la nostra paura, nonostante la barriera che ci separava con l’adozione di tutti i dispositivi di protezione individuale. In queste settimane la nostra comunità è chiamata a rispondere ad una delle sfide più difficili della sua storia. Non nascondiamocelo: con il passare dei giorni ci rendiamo sempre più conto di come questa emergenza segnerà una profonda trasformazione nella società da un punto di vista economico, sociale e relazionale. Non siamo arrivati pronti a questo e non potevamo diversamente esserlo. Ci spaventa e ci fa paura. Non dobbiamo vergognarcene. La paura è quell’emozione che ci mette in guardia dalle situazioni che pongono in pericolo ciò a cui teniamo maggiormente, è una emozione nobile perché significa avere cura di sé stessi, certamente, ma anche cura dei propri cari e degli altri. Ma affinché questa cura sia possibile, alla paura dobbiamo affiancare il coraggio di agire in modo consapevole e responsabile, facendo ognuno la propria parte secondo ruolo, capacità e competenze. Siamo tutti chiamati a compiere quegli importanti sacrifici che il rispetto delle necessarie disposizioni delle autorità ci impongono, ma questo per noi rappresenta solo un pezzo di quella che riteniamo essere la nostra parte. Ci sono volontari e colleghi della CRI di Ancona che ogni giorno si impegnano a sostenere tutte le persone che, non per scelta, si trovano in condizioni di difficoltà: anziani soli, diversamente abili, famiglie economicamente svantaggiate, malati, persone che già prima di questa emergenza necessitavano di particolari attenzioni in risposta a bisogni primari. Ci siamo attivati per provare a raggiungere tutti. Ci accorgiamo però che ogni giorno che passa, il nostro tessuto economico-sociale è sempre più debole. Anche chi prima, magari con fatica, riusciva a provvedere in maniera autonoma ai propri bisogni, patisce le conseguenze di questa emergenza. Molti di questi, con grandissima dignità perché chiedere aiuto è un diritto e non un motivo di vergogna. Stanno bussando alla nostra porta o potrebbero nei prossimi giorni doverlo fare. Ce ne accorgiamo durante il servizio d emergenza 118 quando siamo a stretto contatto con la situazione sociale della famiglia a cui stiamo dando il nostro aiuto. Proviamo a rincuorare e a far capire che non sono soli, che noi siamo li per loro e se hanno bisogno di un aiuto, possono chiamarci in sede e chiedere. Per fortuna la solidarietà nei nostri cuori è grande. A mancare non sono di certo i volontari. In molti si sono attivati. Tuttavia ci rendiamo conto che il buon cuore serve e c’è, ma non basta. Abbiamo bisogno infatti che in questo momento si riescano ad attivare tutte le risorse volontaristiche (e non) che la nostra comunità può mettere a disposizione. Ci rivolgiamo quindi alle aziende, alle piccole e grandi società, ai piccoli imprenditori e anche ai privati cittadini per chiedere di sostenere al meglio i nostri sforzi con materiale sanitario o donazioni. E fino ad ora molti hanno risposto al nostro appello e abbiamo potuto continuare il nostro lavoro di aiuto alla comunità sotto forma di servizi di emergenza territoriale, pronto farmaco, dimissioni e trasferimenti di persone positive o guarite. Deve però esserci la consapevolezza che l’emergenza che stiamo affrontando prima ancora che sociale ed economica, è sanitaria. Un atto di cura consapevole e responsabile che non mette a repentaglio la salute del prossimo. In primo luogo, anche chi fa del bene deve limitare al massimo gli spostamenti. In secondo luogo, dire “no, ma io sto bene, mi lavo sempre le mani e metto la mascherina” sappiamo già che non funziona contro questo mostro. Chiediamo quindi anche un aiuto di restare a casa, evitare spostamenti inutili, e soprattutto pensare che le nostre azioni potrebbero danneggiare un prossimo a noi caro, un parente anziano, un vicino già malato, un genitore con problemi. Noi della Croce Rossa ci siamo e siamo pronti sempre, ci mettiamo a disposizione senza alcuna distinzione. E sempre lo saremo. Ho deciso di continuare a prestare servizio, specialmente in questo momento così difficile che tutti stiamo affrontando, perché penso che sia una cosa fantastica poter dare una mano a livello pratico anche nelle piccole cose. Dare un aiuto non significa esclusivamente far parte di un equipaggio 118 o svolgere un servizio di emergenza, ma in questo momento è fondamentale svolgere anche attività secondarie come il trasporto di medicinali e viveri. Ovviamente aiutare la CRI e la popolazione è una cosa che mi rende molto felice, fiero di me stesso e soprattutto mi fa sentire utile nei confronti della società. Spesso, molte persone mi chiedono perché continuo a prestare servizio in momento così pericoloso, e non posso che rispondere che ne vale veramente la pena. Un altro pensiero lo rivolgo ai dipendenti soccorritori che si stanno facendo in quattro per sconfiggere questa pandemia, e sono sicuro che la figura del volontario sia essenziale per supportarli ed aiutarli. Fare volontariato in CRI significa svolgere volontariamente servizi sanitari e non, rivolti alla cittadinanza. Nessuno mi obbliga. Lo faccio regolarmente da qualche anno. Lo faccio con il sole e con la pioggia, di giorno e di notte. Lo posso fare dopo il lavoro, o di sabato o quando è festa. Nessuno mi obbliga. Ma ora c'è questo virus, posso stare a casa, perché tutti dobbiamo stare a casa. Posso non fare servizio per paura, per non rischiare di infettarmi e di infettare i miei familiari. Nessuno mi obbliga, ma sono un Volontario. Se non faccio servizio nei momenti di più necessità a cosa servo? Quindi faccio servizio. Con la paura? Un po' sí, ma consapevole che se uso correttamente tutti i Dpi e seguo tutte le procedure che ci hanno insegnato andrà tutto bene. Non lo faccio perché voglio essere un eroe, né lo faccio per mettermi in mostra; lo faccio perché sono un semplice Volontario, un semplice Cittadino. Tutto passerà e tutto tornerà come prima, anzi no, spero che tutto il mondo sia migliore di prima. Ccontinuo a rendermi disponibile con il mio turno del weekend. Questo non vuol dire che non mi renda conto di come siano cambiate le cose o della pericolosità della situazione per me e di conseguenza per chi mi sta vicino. L'attività è completamente trasformata, faticosa fisicamente e psicologicamente ma dietro c'è sempre la Croce Rossa.  Anche in questa emergenza ha da subito informato e formato sulle procedure, comportamenti da adottare e sulla disponibilità e uso dei DPI, questo mi fa sentire meno a rischio, certo poi come sempre oltre ai DPI ci vuole una buona dose di fortuna. Sono anche convinta che in questo periodo ci sia ancora più bisogno dell'aiuto dei volontari e che la solidarietà sarà sempre una vittoria sul coronavirus e più in generale su tutte le future epidemie che ci impongono solo divisione e isolamento"


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